Importato da una pratica diffusa addirittura negli anni 50 dalla lontana California, più pragmatica e meno ingessata, anche e da tempo si sta diffondendo nei nostri ristoranti la possibilità di poter portare al tavolo un proprio vino (o altre bevande) comprate altrove o facenti parte della propria cantina o collezione di bottiglie pregiate.
Laddove tale facoltà sia consentita, sorge in capo al titolare del ristorante il cd. diritto di tappo, il carkage fee, cioè la legittima richiesta di pretendere dal cliente che porta con sé la bottiglia (BYOB, acronimo di bring your own bottle – che è pure l’insegna esterna dei locali ove tale pratica è consentita) un corrispettivo in grado di coprire i costi degli oneri legati al servire quel vino, partendo dalla temperatura di mescita, stappatura, uso del decanter, scelta dei calici appropriati.….
Ma anche questa formula richiede comunque motivazioni che, a mio avviso, debbano esulare da quella per la quale, poiché i vini dei ristoranti sono considerati costosi in quanto alto è il loro ricarico, allora preferisco portarmelo da casa ed abbatto una voce rilevante del conto finale.
La possibilità di degustare un vino speciale o di annata di cui dispongo e non reperibile presso quel locale andrebbe invece giustificata dall’occasione di abbinarlo con delle buone pietanze che quel ristorante è in grado di offrire, o per sopperire ad una scelta limitata della carta dei vini e non all’altezza della proposta culinaria, o ancora per poter festeggiare o celebrare un momento particolare della propria vita con un’ altrettanto particolare bottiglia ricca di significato e destinata da tempo per quell’evento o, meglio ancora, per condividere con altri esperti ed intenditori il piacere di berlo, nella ritualità che merita.
Ancorchè non scritte, il bon ton e il saper vivere impongono al cliente alcune regole come quella di informarsi in anticipo se la pratica del diritto di tappo è consentita in quel locale e l’ammontare e il criterio delle tariffe che verranno applicate per tale servizio, avendo preso in anticipo visione della lista dei vini ed evitando magari di presentarsi con prodotti nella disponibilità del ristorante. Non da trascurare è la discrezione con la quale presentarsi al tavolo con la bottiglia “esterna”, e la gestione delle successive fasi, sapendo coinvolgere in assaggi o pareri il titolare o il sommelier di sala; così come evitare di sedersi al tavolo con un numero eccessivo di bottiglie rispetto ai commensali e all’ordinativo delle pietanze.
Altrettanta professionalità ed attenzione deve essere prestata dal ristoratore che deve “vivere” ed interpretare questa formula come occasione di nuove entrate economiche rappresentate appunto dai proventi applicati per il diritto di tappo, in grado di bilanciare le proposte, talvolta troppo esose, della propria carta dei vini (che per certe etichette ed annate talvolta rappresentano una costosa immobilizzazione), senza per questo snaturare o svilire la propria identità, tradizione ed aspettative conquistate nel tempo, sfruttando con una adeguato carkage fee il peso del settore beverage, bicchieri e decanter!. Ma soprattutto mantenendo e forse incrementando clientela esigente e gaudente al tempo stesso.
La ritrosia dei ristoratori verso questa sempre maggiore richiesta muove dalla considerazione che la carta dei vini è frutto di ricerca, selezione e proposte in linea con il menù, per altro realizzate da personale specializzato, che ha richiesto addestramento ed investimento, in una con le attrezzature e gli strumenti necessari per un’ottima degustazione.
L’obiezione a tale atteggiamento (sempre meno riscontrato comunque) è che tale formula, se sapientemente gestita, costituisce un momento di confronto e crescita tra l’esperto ristoratore e il ricercato cliente, il quale, se possiede questa sensibilità, apprezza la condivisione, i suggerimenti e perché no, la proposta di nuove etichette che l’oste eventualmente gli proporrà.
Ma a quanto ammonta questo “diritto di tappo?”. Non ci sono regole precise, ma possono essere enunciati alcuni criteri poi applicati e personalizzati secondo la politica dei costi di ciascuna realtà: dai 5/10 euro a bottiglia in Italia ai 15/25 dollari negli USA.
Ma il diritto di tappo appare anche un’ottima soluzione, sempre più diffusa, per i ristoranti etnici di matrice musulmana, il cui credo impone il divieto di vendere alcolici, ma, come maliziosamente il collega Stefano mi informava, se te lo porti da casa…
A cura Avv. Paolo Spacchetti
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